mercoledì 10 dicembre 2014

Una storia di emarginazione


Vorrei tanto che questa storia fosse una storia inventata.  Vorrei che fosse stata concepita soltanto dalla nostra fantasia, e anche in questo caso avrebbe la funzione di insegnarci qualcosa.  Figuriamoci se fosse vera.
È una storia che trae origine dal luogo in cui è ambientata: il quartiere di Bucaletto alla periferia di Potenza. 
Una baraccopoli fatta di mille contraddizioni, in cui la povertà a volte si affianca all'illegalità.
Bucaletto fu creato per dare una dimora momentanea a chi, reduce dal terremoto, aveva perso la sua casa, ma oggi è diventato il posto dove tanti hanno  finito col crescere i propri bambini. Quei bambini di ieri sono diventati gli adulti di oggi, qualcuno di loro ancora si aggira senza lavoro e senza famiglia tra i vicoli del quartiere alla ricerca di un lavoro, ma prima ancora, di un contatto umano.
E  quei prefabbricati che sono ancora lì, tra il cielo nero e l'autostrada, ospitano ancora tanta gente che non sa cosa sia una casa "normale".
Certo c’è anche chi ha un lavoro e una famiglia, ma c’è ancora qualcuno che vive da solo e capita che, a volte,  possa anche uscire fuori di testa:  un po’ a causa della vita che è costretto a fare, un po’ per colpa della solitudine.
Così quest’uomo , giunto a Bucaletto molti anni fa, che per comodità chiamerò Totore, si aggirava per il quartiere, aspettando che il sole si addormentasse per fare anche lui lo stesso, nel suo prefabbricato decadente, dove non era mai entrato nessuno.
A Bucaletto non ci fai caso se uno lo vedi tutti i giorni oppure non lo vedi per un pò: ciascuno è occupato a perdere il tempo per i fatti suoi e non tutti si occupano di quello che succede in giro.
Non aveva amici che lo venissero a cercare, che so un parente, qualcosa.  Niente.
Dopo parecchi mesi, quelli del Comune fecero un controllo e mandarono un ufficiale a vedere se al prefabbricato di Totore rispondesse qualcuno. Probabilmente c'era da riscuotere qualcosa, forse qualche bolletta.
Una sera d’inverno dei ragazzini mezzi ubriachi, che avevano sentito che il prefabbricato era vuoto, pensarono bene che ci potevano stare un pò di tempo lì dentro a bersi qualche altra birra invece di stare fuori a gelare, e così tentarono di forzare la porta, tanto lì non c’era più nessuno. La porta però non si riusciva proprio ad aprire. La polvere dei lunghi mesi estivi aveva formato uno strato così solido che ne impediva l'apertura. Ma i ragazzi non si arresero e forzarono anche quello strato di polvere diventato come cemento.
Totore era lì, morto di solitudine e d’ incuria, e l'ultimo abbraccio lo aveva riservato a quei giornali che non si erano mai occupati di lui.
la notizia del ritrovamento di Totore fece immediatamente il giro del quartiere, finchè qualcuno chiamò Striscia la Notizia raccontando un fatto clamoroso: un povero emarginato era morto alla periferia di Potenza all'insaputa di tutta la collettività. Allora quelli della televisione  si presentarono qualche giorno dopo e fecero le riprese, e intervistarono pure qualcuno del quartiere, ma quella trasmissione non fu mai mandata in onda.
Se venite a Bucaletto oggi e chiedete a qualcuno la storia di Totore, non ve la racconta nessuno, perché nessuno ha voglia di riaprire quella porta e tutti i ricordi che quel prefabbricato conserva.
Se n'è andato in silenzio avvolto da quella stessa solitudine che lo aveva accompagnato per tutta la vita.
Ecco perché a Bucaletto c’è assoluto bisogno di stare insieme. Per evitare che altri come Totore se ne vadano in silenzio.  Ecco perché fare una comunità inclusiva qui ha più valore che da qualunque altra parte.

Ma a un certo punto di Totore non si ebbero più notizie. E gli altri, quelli che lo conoscevano, non sapevano neppure a chi chiedere dove fosse andato, perché nessuno conosceva la risposta.
E così dopo un po’ smisero di chiedersi dove fosse andato a finire. Qualcuno disse che era andato fuori, a cercare un lavoro. Qualcun altro si inventò un figlio in un’altra città. Ma erano solo voci dette così, per dire. 
Quando a Bucaletto viene un ufficiale del Comune tutti stanno in campana: non si sa mai che può succedere. L'ufficiale bussò, ma non aprì nessuno. E così quando quello se ne andò, gli altri ebbero la certezza che: “Porca miseria, Totore se n’era andato davvero”.
Quando finalmente la porta  cedette,  lo trovarono lì, a terra, avvolto dai giornali, dai suoi escrementi e dal suo piscio, e quello che videro i loro occhi non doveva essere molto bello nè a vedersi e nemmeno a odorarsi.
Nessuno aveva il coraggio di parlare di Totore. Se nessuno si era occupato di lui mentre era vivo, figuriamoci se se ne occupavano adesso.
Perché la solitudine si combatte soltanto in un modo: condividendo il proprio tempo fatto di parole e di sorrisi, e non soltanto di problemi.
E se oggi c’è qualcuno che si dà da fare per ottenere questo risultato, facciamo tutti un passo in quella direzione.
E mentre andiamo a trascorrere un pò del nostro tempo in allegria, un pensiero -  uno solo -  dedichiamolo a quell’uomo che se ne andò in silenzio, allo stesso modo in cui aveva vissuto.
Alla cena di stasera dedichiamo un bicchiere di vino alla sua memoria: lui lo sentirà e ci ringrazierà  dovunque sia andato.
“Alla salute di Totore”.
Prosit.  

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