venerdì 24 maggio 2013

Bruce Springsteen, Napoli, 23 maggio 2013




Piazza del Plebiscito è già in trepidante attesa da ore e ore prima delle 20, ora fissata per l’inizio della magìa.
La gente, consapevole delle previsioni del tempo, sta spesso con gli occhi alle nuvole minacciose, cercando, con lo sguardo della speranza, di allontanare la minaccia.
Sul selciato della piazza l’attesa è paziente: un concerto del Boss si aspetta sempre sapendo di essere, tutti insieme, protagonisti di un evento.
Poi, d’improvviso, alle 18 esce, a sorpresa, lui e la chitarra, senza fronzoli, senza farsi annunciare da nessuno, come un operaio qualsiasi che fa gli ultimi aggiustamenti sul palco, solo che questo operaio ha la chitarra e l’armonica, e comincia a cantare This hard land.
Appena la chitarra accenna le prime note, la piazza ha un sussulto in avanti, si sposta quasi a cercare un avvicinamento al palco, un po’ incredula di vederlo lì, da solo.
La terra dura inizia ad essere più leggera e a riempirsi di attesa, poi parte la seconda “Growing up”, al termine della quale finisce il più bell’antipasto che si potesse immaginare, Springsteen saluta con un “Tutto Bene”, ma sembra già di stare in Paradiso.
La gente adesso può ritornare a combattere le nuvole con gli occhi.
Alle 20,20 escono Nils Lofgren, Charlie Giordano e Roy Bittan con le fisarmoniche per regalare a Napoli: “O sole mio”, lui va a prendersi dal pubblico un cartello a forma di sole, e subito dopo attacca tutta la band con Long Way Home: il concerto è appena iniziato e già pare di stare in un sogno.
Come sempre nei suoi live, è l’energia a farla da padrone e, quasi senza soluzione di continuità, ecco le altre meravigliose perle alla collana musicale che l’artista sta cucendo: My love will not let you down, Out in the street e Hungry heart, per poi arrivare al blocco “standard” del tour, quello con le canzoni dall’ultimo Wrecking ball.
Le inquadrature dei giganteschi monitor laterali evidenziano, uno ad uno, tutti i componenti di questa leggendaria band, soffermandosi spesso sull’alter ego del Boss, quel Little Steven che lo affianca sul palco da decenni, un piccolo Buddha con la bandana e la chitarra.
Il Boss è già padrone di Napoli: potrebbe chiedere qualsiasi cosa ai 20 mila del Plebiscito e loro eseguirebbero senza esitare un secondo, rispondendo, come magnetizzati, dal cenno della sua mano che li invita a sottolineare con la loro voce i passaggi delle canzoni.
Bruce non stacca mai la spina tra un pezzo e l’altro, sembra non voler mai interrompere questa magìa, e solo le parole “one, two,three, four”, segnano il passaggio da un pezzo all’altro, ribadendo un feeling con i musicisti che si è perfezionato da anni di palcoscenico e migliaia di concerti.
Non è un concerto solo di chi sta sul palco, è un concerto di tutta la piazza, sono lì ammassati ai suoi piedi i protagonisti delle sue canzoni.