lunedì 21 marzo 2016

L'uomo con la maschera


Quando arrivai in casa di Casimiro ci trovai ufficiale giudiziario, poliziotti e impiegati notificatori. Dovetti dire che ero il cugino, altrimenti non sarei stato ammesso nell’appartamento. Quando si fa uno sfratto, meglio non avere intorno troppa confusione. Gli ufficiali giudiziari lo sanno, la polizia lo sa. Ma forse loro non sapevano che Casimiro è ammalato gravemente di fibrosi cistica. La fibrosi cistica altera le secrezioni di molti organi che contribuiscono al loro danneggiamento. A subire la maggiore compromissione sono i bronchi e i polmoni: al loro interno il muco tende a ristagnare e l' infezione e l' infiammazione tendono a portare all’insufficienza respiratoria. E così Casimiro, colto di sorpresa alle 8,30 di mattina da questa visita non particolarmente gradita, aveva sentito il bisogno di rimanere a letto, con un respiratore e una mascherina. Mi aveva chiamato dicendomi queste parole che mi fecero schizzare al Serpentone in pochissimi minuti: “Sono venuti, sono qui. Fai qualcosa per favore”. Lo sapevamo che sarebbe accaduto. Ne avevamo parlato a lungo le settimane precedenti. E così l’unica cosa che sentii di fare fu quella di chiamare tutti i mezzi di informazione di cui avevo i recapiti. E in pochi minuti la palazzina del Serpentone dove abitava Casimiro era piena di giornalisti, con tanto di taccuini e telecamere. Casimiro era un fuorilegge, come tante famiglie che abitano nel quartiere più degradato della città. Si era introdotto abusivamente in questo appartamento che trasudava umidità e aria cattiva da ogni poro delle sue pareti marce. Una casa che non avrebbe preso in considerazione nessuno, nemmeno quelli che ne avevano diritto in base ad una graduatoria, ovvero coloro a cui una casa spettava davvero. O forse no, ma questa è un’altra storia.
Mi sembrava crudele che, nonostante il peccato originale di cui si era macchiato, lo si dovesse cacciare senza alcun riguardo nei confronti delle sue precarie condizioni di salute. Casimiro aveva speso una parte dei suoi soldi a rendere quella casa abitabile. Direi meglio: respirabile, vista la sua malattia. E quella casa, che forse non sarà mai la sua casa, gli doveva quantomeno consentire, almeno fintanto che fosse stato tra quelle mura, di viverla senza acuire le sue già drammatiche condizioni. Le telecamere che arrivarono qualche minuto dopo furono cacciate anch’esse senza alcun riguardo. L’ ufficiale giudiziario disse che dovevano andar via tutti, che stavano intralciando il suo lavoro. Un reporter disse che anche lui stava facendo il suo lavoro e che la libertà di stampa è sacra, anche in un caso drammatico come quello.