La città svelata. Ma direi anche: la città più consapevole. I
racconti che sono stati immessi in questa pubblicazione sono tutti sinceri e schietti come il vino che
abbonda sulle nostre tavole.
Quelli che ci hanno messo la penna non hanno fatto
una operazione di puro amarcord in salsa malinconia. I racconti sono stati scritti senza fare sconti e hanno
messo a nudo un luogo che, forse per la prima volta, si svela per tutto quello
che è nella realtà, con tante luci ma anche tante contraddizioni, emergenze,
interrogativi.
Chi ha scritto, ha raccontato a volte le memorie di luoghi
smarriti o nascosti in una città che aspira a diventare grande, ma inciampando spesso lungo il cammino, forse per la troppa fretta.
Altri hanno raccontato di persone che sono invecchiate o che non ci sono più e che rivivono nella narrazione con una luce diversa perfino da quella che hanno conosciuto quando erano in vita. È il potere della sublimazione del racconto, che fatalmente altera il reale per circondarlo di una cornice d’oro. Questi sono i racconti che meglio interpretano il senso profondo del libro: quello che tende alla riscoperta di una città che non è più quella di un tempo e che, proprio per questa ragione, va svelata per significare com’era a chi non l’abbia vissuta, o per farla rimembrare ai tanti che l’hanno conosciuta e l’hanno accantonata nella soffitta dei loro ricordi.
Altri hanno raccontato di persone che sono invecchiate o che non ci sono più e che rivivono nella narrazione con una luce diversa perfino da quella che hanno conosciuto quando erano in vita. È il potere della sublimazione del racconto, che fatalmente altera il reale per circondarlo di una cornice d’oro. Questi sono i racconti che meglio interpretano il senso profondo del libro: quello che tende alla riscoperta di una città che non è più quella di un tempo e che, proprio per questa ragione, va svelata per significare com’era a chi non l’abbia vissuta, o per farla rimembrare ai tanti che l’hanno conosciuta e l’hanno accantonata nella soffitta dei loro ricordi.
Poi ci sono altri racconti che invece si proiettano in un’operazione
più funambolica, di fantasia e di irrealtà, pur mantenendo ovviamente i
contatti con luoghi e personaggi esistiti realmente.
Durante la serata di presentazione del libro qualcuno
ha detto che un luogo, fortificato dal racconto, è meglio in grado di
resistere. Resistere è una parola dura. Fa pensare ad un’invasione, ed alla
conseguente necessità di doversi difendere, con ogni mezzo. Io che sono un
visivo, mi immagino il fortino della città attaccato da mille forze che
vorrebbero sopraffarla, e al suo interno uno stuolo di cittadini che si armano
come possono per non farsi prendere, per tenere alto il baluardo della difesa,
mettendo muri di parole addossate alle porte d’ingresso.
Poi ecco che si materializzano, con una chiarezza quasi
ultraterrena, un paio di simboli veri della resistenza, al di là di ogni mia
più fervida immaginazione.
Mentre percorro a piedi Santa Maria per recarmi all’appuntamento con La città svelata, passo accanto a due negozi situati sotto al livello della strada, di quelli che per arrivarci devi scendere tre o quattro gradini.
Mentre percorro a piedi Santa Maria per recarmi all’appuntamento con La città svelata, passo accanto a due negozi situati sotto al livello della strada, di quelli che per arrivarci devi scendere tre o quattro gradini.
Dalla
strada vedo un bimbo, cinque o sei anni, non di più, attaccato ad un gigantesco
bancone di vetro a chiedere al negoziante qualcosa: il segno tangibile, in una
immagine sola, di quanto si possa resistere al cambiamento anche mandando il
proprio piccolo a fare la spesa al negozio sotto casa.
Il secondo simbolo della resistenza, a
pochi metri di distanza dal primo, si trova all’interno di una macelleria. Non
ho visto il proprietario, ma nel camminare piano, mi è risultata
chiara la scritta da lui realizzata con il nastro adesivo nero sul muro dietro il
bancone, che simboleggia un altro tipo di resistenza, quella dall’invasione dei
grandi centri commerciali e dalle catene della Grande distribuzione. In questo negozio, anch’esso posto tre o quattro gradini sotto il
livello della strada, il macellaio aveva realizzato una scritta indirizzata evidentemente
alla sua clientela che diceva: “SE MI LASCI NON VALE”.
Ho trattenuto quell’immagine dentro ai miei occhi sorridendo
mentre procedevo, e pensando dentro me: ecco cosa vuol dire resistere
veramente.
Ed ho pensato anche che forse il nome stesso del teatro di questa
città sta a simboleggiare un destino che
dovremmo cercare di preservare con maggiore convinzione.