venerdì 12 luglio 2013

L'allenatore e il ragazzo di quartiere


Un giorno un ragazzino di 13 anni entrò nel palazzetto CONI in una fredda serata di ottobre.Attraversò, emozionato e a piedi, il lungo ponte di Montereale, provenendo da quella che, in quel tempo, era ancora una periferia.
L'ingresso al palazzetto era di quelli che al ragazzino sembrava un tempio dello sport, anche se in realtà era poco più di una palestra.
Lui aveva giocato, fino a quel momento, solo nei playground dai salesiani con amici e la sua professoressa di matematica, sorella di un allenatore della città, gli aveva detto: "Ehi, mi hanno detto che giochi a pallacanestro, mio fratello è un allenatore: perchè non vai a provare anche tu?"
Il ragazzo aveva guardato i suoi due compagni di playground, ai quali era stato rivolto lo stesso invito. Veramente non si chiamavano ancora playground, ma più semplicemente: campetti. E quelli si erano stretti nelle spalle, come una risposta che forse voleva dire: "Ma si, in fondo che abbiamo da perdere?"
E così i tre ragazzi affrontano il lungo cammino a piedi che da Rione Risorgimento li portava lungo Via Mazzini e, appunto, al palazzetto CONI.
L'allenatore somigliava un pò a Frank Sinatra, solo che non cantava, anzi sembrava rigido e serioso, e la prima disposizione che diede a tutti era di mettersi in ordine di altezza, ma quel giorno era senza voce e doveva spiegarsi a gesti, disegnando con le mani nell'aria una linea in diagonale che tutti i ragazzi erano chiamati a rispettare.
Era affiancato da uno dei suoi giocatori di punta della prima squadra, che lo aiutava a mettere ordine, come in quel momento, o a dare qualche consiglio. Una specie di assistente, insomma.
Il ragazzo però, emozionato come mai gli era capitato prima, non capì bene le indicazioni, e sbagliò il posto dove mettersi, rompendo la riga perfetta che tutti gli altri avevano osservato con cura.
L'allenatore consultò qualcosa su dei foglietti, quello che faceva da assistente intanto guardò la fila e vide questo ragazzo che era proprio fuori posto e lo guardò male, e fece degli strani segni con gli occhi perchè non voleva disturbare quella specie di rito strano che si stava consumando. C'era una tensione incredibile a cui nessuno dei presenti era abituato perchè l'allenatore stava per impartire i primi "comandamenti".