giovedì 1 ottobre 2015

Roger Waters The Wall 1 ottobre 2015


Caro Ruggero, è chiaro che un colossal rock di queste proporzioni convince.
La storia musicale che ti porti dietro convincerebbe chiunque, figurati noi altri ultra cinquantenni, che ti seguiamo da quando eravamo ancora in fasce e le puntine Sennheiser già ballavano con Interstellar Overdrive e Arnold Layne.
Convinci perfino le generazioni dei ventenni di oggi che di Syd non sanno una beata cippa, eppure cantano con il dito alzato Comfortably numb e si commuovono con Hey You.
Sappiamo tutto di te, delle tue paranoie, di quella stramaledettissima seconda guerra mondiale che ti ha fatto male ma, non contento di aver realizzato The Wall, hai convinto anche gli altri membri della band a farne anche un seguito che si intitolava The Final Cut e che naturalmente non ebbe neppure lontanamente lo stesso successo.
Sarà stato che l’idea di privarti di quel sant’uomo di Richard Wright alle tastiere (solo perché non voleva anticipare il suo rientro dalle vacanze), ti ha tolto un po’ di ambientazione pinkfloidiana, o semplicemente volevi riaffermare una leadership mai in discussione?
Adesso che ho visto il tuo ennesimo The Wall, te lo posso confessare: c’ero fin dalla prima mondiale del film a Londra nel 1980. Ero lì in vacanza con il mio amico Attilio, e quel pomeriggio a Soho appena vedemmo il manifesto del film non ci perdemmo un attimo a decidere che in quella sala dovevamo esserci anche noi. La musica la conoscevamo già (il disco era uscito un anno prima), ma le immagini che scorrevano in quella sala londinese, quei suoni incredibili e soprattutto uno splendido Bob Geldof nel ruolo che hai dimensionato a tua immagine e somiglianza, credo che resteranno nella mia mente per sempre.
Poi ho visto (questa volta per televisione) lo spettacolo da solista di The Wall che hai portato in giro per l’Europa partendo dalla caduta del Muro di Berlino nel 1990. Ottima operazione di marketing!
Lì, oltre al muro, avevi già smantellato la band, ma quel concerto si avvalse di ospiti veramente incredibili, quali Bryan Adams, The Band, Cyndi Lauper, Joni Mitchell, Van Morrison, Sinead O'Connor, gli Scorpions e altri. Dicono che quella sera ci fossero oltre 400 mila spettatori: non so quanti concerti hanno avuto un riscontro simile.

martedì 29 settembre 2015

Davanti alle poste tanta gente




Così inizia una canzone di Venditti. No, quella era la scuola. Si, ok, ma adesso siamo fatti grandi e alle 8,30 la prima campana suona all'ufficio postale. Al di là della location, il punto è che a guardarsi intorno, una logica o, come direbbe qualcuno, un senso, questa società dell'iper-informazione, sembra proprio non averlo.
Ciò che più mi colpisce sono i toni. Un tempo erano discorsivi, più o meno pacati, si cercava il confronto, lo scambio, perfino la cortesia era la norma.
Invece oggi, esattamente come accade per l'informazione, anche la condivisione si è frammentata, sminuzzata come le carotine Julienne, in mille pezzettini lunghi e sottilissimi, che rimetterli assieme non si può più. E il dibattito si inasprisce, si abbassa il volume del rispetto e si alza quello del vaffanculo facile. La tolleranza ha le ore contate.
Debordazioni continue dei limiti di quella che una volta si chiamava buona educazione, la pazienza è schiacciata al muro come un insetto fastidioso. Negli uffici pubblici, in mezzo al traffico, sul web e in qualunque occasione in cui semplicemente si addiviene ad un contatto tra due o più persone, la soglia della tolleranza è talmente sottile che ti si avventano alla giugulare al minimo accenno di far valere i tuoi diritti.
Assistiamo quotidianamente a pericolosi fermenti di collisione dialettica in ogni dove, non solo sui social network (nei quali è facile nascondere il dito omicida dietro uno schermo illuminato).
Una trasmissione tv, un servizio giornalistico, perfino delle banali osservazioni su un social network si caratterizzano per attacchi reiterati, guerre di religione, battaglie di vita o di morte. E tutto questo al solo scopo di prevalere dialetticamente!