C’era un ragazzo che aveva il nome napoletano e il cognome
di un fiore.
È nato qui, è vissuto qui, ha fatto la sua sfortunata vita
in un luogo a metà tra la provincia e il sogno. Un luogo che, come tanti di
questo paese, spesso è distratto dalle grandi problematiche e si dimentica delle
condizioni dei suoi figli, salvo ricordarsene quando è troppo tardi: o sono
emigrati altrove oppure se ne sono andati troppo presto.
Questo ragazzo mi fa venire alla mente il protagonista di un
film che non ho dimenticato mai, “Un uomo da marciapiede”. Però non l’attore
bello, interpretato dall’esordiente John Voight che per vivere faceva il
gigolò, ma quell’altro un po’ più sfortunato, leggermente zoppo, abbastanza
balbuziente e tremendamente solo, che nel film si chiamava Salvatore Rizzo
ma il cui soprannome era “Sozzo”.
E un po’ per il nome, un po’ per il personaggio, aveva tutte
caratteristiche che ce lo hanno fatto amare appena lo abbiamo visto. Era
interpretato da un meraviglioso Dustin Hoffman. Ci sono molte cose di “Sozzo”
che mi fanno pensare a questo nostro amico. Anche lui aveva un particolare modo
di camminare, non era zoppo, ma aveva quell’andatura che la riconoscevi prima
ancora di vederne il viso. Di essere balbuziente, lo era un po’ anche lui. Solo
che al nostro amico dal cognome di un fiore accadeva una cosa che solo la
musica può regalare: quando cantava, come d’incanto spariva la balbuzie ed era
in grado di tirare giù un tipo di musica che era una via di mezzo tra la
canzone popolare potentina ed il blues. Io non lo so se questo genere lo abbia
inventato lui, ma era capace di cantare canzoni di Michele di Potenza arrangiate
a volte in stile rap e a volte con lo stile del delta del Mississippi. Io non
ho mai visto una cosa del genere.
Facile dire: talento, dopo che uno se n’è andato. Facile
rivalutare le persone dopo che ci hanno salutato. E questo nostro amico se n’è
andato veramente troppo presto, e a molti di noi ci ha anche lasciato un po’ di
sorpresa, oltre all’inevitabile tristezza. Lo vedevamo gironzolare con il suo
immancabile Zack, che lo ha anticipato di poco sulla strada del lungo cammino.
Qualcuno di noi ha anche avuto la fortuna di sentirlo cantare, e c’era una cosa
che, al di là del talento, al di là della musica che usciva dalle sue corde
vocali, ci colpiva tutti: quell’allegria che aveva sempre, quell’aria
scanzonata che sembrava che ti prendeva sempre un po’ per il culo. Ma siccome
aveva il nome napoletano e il cognome di un fiore gliela perdonavamo sempre.
Poi quel nome d’arte per sottolineare la cosa che aveva
nelle vene oltre al sangue: la musica. E così quel cognome di un fiore che era
un tulipano, per lui si è trasformata in “Tulyrap”, sì con la y, perché così
sapeva anche un po’ di esotico.
Ed era chiaro che era simpatico a tutti e tanti gli volevano
bene. Certo che se uno come lui avesse potuto scegliere il giorno in cui
andarsene, avrebbe scelto proprio quel giorno.
Il giorno della festa del Santo
patrono.
Spesso chi mostra allegria e simpatia con la gente, è
piuttosto triste quando si trova da solo. E qualche giorno prima che se ne
andasse condivise un link scherzoso, che diceva così: “Parlare da soli riduce del
50% la possibilità di sentire cazzate”.
Di cazzate ne avrai dette e sentite tante,
caro Gennaro. Ma adesso ne potrai dire quante ne vuoi, portatele con te e
raccontale al tuo Zack e a quelli che ci troverai lungo quei viali.
Boh, non lo
so se saranno viali, ma mi piace pensare che, a metà strada tra la provincia e
il sogno, ci sia anche lassù un luogo dove si può camminare, sparare cazzate e
cantare Michele di Potenza, rap e blues mischiati assieme. Buone passeggiate.
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