Chiamatemi
Ismaele. Qualche anno fa - non importa quando esattamente - avendo poco o nulla
in tasca, e niente in particolare che riuscisse a interessarmi a terra, pensai
di andarmene un po' per mare, e vedere la parte aquorea del mondo. È un modo
che ho io di scacciare la tristezza, e regolare la circolazione.
Ogni volta che mi ritrovo sulla
bocca una smorfia amara; ogni volta che nell'anima ho un novembre umido e stillante; quando mi sorprendo a
sostare senza volerlo davanti ai magazzini di casse da morto, o ad accodarmi a
tutti i funerali che incontro; e soprattutto quando l'ipocondrio riesce a
dominarmi tanto, che solo un robusto principio morale può impedirmi di uscire
deciso per strada e mettermi metodicamente a gettare in terra il cappello alla
gente, allora mi rendo conto che è tempo di mettermi in mare al più presto: questo
è il mio surrogato della pistola e della pallottola.
Soltanto nell’assenza di terra risiede la verità più alta, senza rive,
senza limiti, come Dio,
e per questo è meglio morire in quell’immane infinito che ingloriosamente
farsi gettare dal
vento a terra, anche se quello sarebbe l’unico sistema per salvarsi. Sarà
vana tutta questa
agonia?, oh, terrore terribile. E allora coraggio, coraggio, Bulkington!
Aggrappati al timone,
semidio. Il tuo trionfo balzerà verso il cielo, su dalla schiuma del tuo
morire d’oceano
(H. Melville)
Fin qui Melville. Ci sono poi delle musiche che da sole sostituiscono le parole, anzi sanno fare meglio di esse. Non importa cosa dicono e neppure cosa vogliono dire, ma l'orecchio che viene accarezzato da certi canti (non saprei meglio definirli, giacchè i termini melodie, o canzoni, oppure brani, non mi sembrano neppure da prendere in considerazione), insomma certi canti sembrano provenire da altri pianeti, e quando pensi ai pianeti pensi a dei globi posti al di sopra di noi, e sei portato a guardare in alto. Sicchè da una parte ti giunge questo canto, dall'altra alzi istintivamente il capo e lo sguardo a cercare quel luogo magico da cui proviene, infine gli occhi si arrendono al suono e si chiudono, poichè qualunque immagine che si frappone tra il suono stesso ed i timpani accarezzati sembra essere di troppo.
Ed in quel posto lì ci vorresti restare giusto il tempo per capire quale Dio possa aver creato un simile miracolo.
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